scritto, diretto e interpretato da
Giacomo Moscato
L’infinito, A Silvia, Il sabato del villaggio… sono solo alcune delle immortali poesie di Giacomo Leopardi, quelle che ognuno di noi ha letto e, qualche volta, imparato a memoria fin dalle scuole elementari.
La stessa conoscenza sommaria della biografia e delle caratteristiche dell’autore sono, per la gran parte degli studenti (di ieri e di oggi), qualcosa di sostanzialmente noto, di sentito e risentito, addirittura di “quasi scontato”: il pessimismo storico, il pessimismo cosmico, il pessimismo eroico; l’altera freddezza della madre, il controllo ineludibile del padre, i tentativi di fuga da Recanati; la solitudine, la siepe, i problemi fisici, gli amori non corrisposti…
Perfino sui social network capita spesso di imbattersi in citazioni o aneddoti che non fanno altro che confermare l’idea di un autore triste, malinconico, infelice, che, peraltro, nel linguaggio giovanile si trasforma subito in “sfigato”, “depresso”, incapace di provare o donare sentimenti positivi (“mainagioia”, insomma!)
Ebbene, questa conoscenza “popolare” di Leopardi, che non ha eguali con nessun altro autore italiano o straniero, è – a mio modo di vedere – il vero grande “nemico” della poesia leopardiana! Il fine di questo spettacolo è proprio quello di “ripulire” la sua straordinaria poetica da tutto ciò che non le appartiene, riscoprendone l’emozione pura, la potenza comunicativa, la sbalorditiva immediatezza, la leggera profondità, finanche la gioia di una poesia che tende sempre alla ricerca incessante e implacabile dell’Amore. In due sole parole, riscoprendone la sua “infinita bellezza”!